Con questa raccolta scopriamo insieme le più belle Poesie di Cesare Pavese, uno degli autori italiani più apprezzati del XX secolo. Le poesie di Cesare Pavese affrontano varie tematiche complesse ed emotivamente incisive, dal rifiuto amoroso allāaffetto verso i propri genitori, la solitudine, la morte e lāabbandono. Cesare Pavese ebbe infatti unāinfanzia difficile, segnata dalla morte del padre, dei fratelli, e dalla malattia della madre.
Negli anni tra le due Guerre Mondiali, il suo impegno politico lo portò ad unirsi agli attivisti del gruppo antifascista āGiustizia e LibertĆ ā. Direzione politica che segnò la condanna dellāautore a tre anni di confino. Cesare Pavese nacque a Cuneo nel 1908, e morƬ nel 1950, a seguito di unāoverdose di sonnifero. Soffriva di una forte depressione, accentuata da varie delusioni sentimentali. Nello stesso anno vinse il Premio Strega per la raccolta di romanzi brevi āLa bella estateā. Ecco 20 Poesie di Cesare Pavese:
Poesie di Cesare Pavese
Ti ho sempre soltanto veduta
Ti ho sempre soltanto veduta,
senza parlarti mai,
nei tuoi istanti più belli.
Ma ho lāanima ormai tanto tesa,
schiantata dalla tua figura,
che non trovo più pace
al suo brivido atroce.
E non posso parlarti,
nemmeno avvicinarmi,
chƩ cadrebbero tutti i miei sogni.
Oh se tale ĆØ il tremore orribile
che ho nellāanima questa notte,
e non ti conoscerò mai,
che cosa diverrebbe il mio povero cuore
sotto lāurto del sangue,
alla sublimitĆ di te?
Se ora mi par di morire,
che vertigine folle,
che palpiti moribondi,
che urli di voluttĆ e di languore
mi darebbe la tua realtĆ ?
Ma io non posso parlarti,
e nemmeno avvicinarmi:
nei tuoi istanti più belli
ti ho sempre soltanto veduta,
sempre soltanto sognata.
Ascolteremo nella calma stanca
Ascolteremo nella calma stanca
la musica remota
della nostra tremenda giovinezza
che in un giorno lontano
si curvò su se stessa
e sorrideva come inebriata
dalla troppa dolcezza e dal tremore.
SarĆ come ascoltare in una strada
nella divinitĆ della sera
quelle note che salgono slegate
lente come il crepuscolo
dal cuore di una casa solitaria.
Battiti della vita,
spunti senzāarmonia,
ma che nellāansia tesa del tuo amore
ci crearono, o anima,
le tempeste di tutte le armonie.
ChƩ da tutte le cose
siamo sempre fuggiti
irrequieti e insaziati
sempre portando nel cuore
lāamore disperato
verso tutte le cose.
Mattino
La finestra socchiusa contiene un volto
sopra il campo del mare. I capelli vaghi
accompagnano il tenero ritmo del mare.
Non ci sono ricordi su questo viso.
Solo unāombra fuggevole, come di nube.
Lāombra ĆØ umida e dolce come la sabbia
di una cavitĆ intatta, sotto il crepuscolo.
Non ci sono ricordi. Solo un sussurro
che ĆØ la voce del mare fatta ricordo.
Nel crepuscolo lāacqua molle dellāalba
che sāimbeve di luce, rischiara il viso.
Ogni giorno ĆØ un miracolo senza tempo,
sotto il sole: una luce salsa lāimpregna
e un sapore di frutto marino vivo.
Non esiste ricordo su questo viso.
Non esiste parola che lo contenga
o accomuni alle cose passate. Ieri,
dalla breve finestra ĆØ svanito come
svanirĆ tra un istante, senza tristezza
nƩ parole umane, sul campo del mare.
Sempre vieni dal mare
Sempre vieni dal mare
e ne hai la voce roca,
sempre hai occhi segreti
dāacqua viva tra i rovi,
e fronte bassa, come
cielo basso di nubi.
Ogni volta rivivi
come una cosa antica
e selvaggia, che il cuore
giĆ sapeva e si serra.
Ogni volta ĆØ uno strappo,
ogni volta ĆØ la morte.
Noi sempre combattemmo.
Chi si risolve allāurto
ha gustato la morte
e la porta nel sangue.
Come buoni nemici
che non sāodiano più
noi abbiamo una stessa
voce, una stessa pena
e viviamo affrontati
sotto povero cielo.
Tra noi non insidie,
non inutili cose ā
combatteremo sempre.
Combatteremo ancora,
combatteremo sempre,
perchƩ cerchiamo il sonno
della morte affiancati,
e abbiamo voce roca
fronte bassa e selvaggia
e un identico cielo.
Fummo fatti per questo.
Se tu od io cede allāurto,
segue una notte lunga
che non ĆØ pace o tregua
e non ĆØ morte vera.
Tu non sei più. Le braccia
si dibattono invano.
Fin che ci trema il cuore.
Hanno detto un tuo nome.
Ricomincia la morte.
Cosa ignota e selvaggia
sei rinata dal mare.
Tu non sai le colline
Tu non sai le colline
dove si ĆØ sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
lāarma e il nome. Una donna
ci guardava fuggire.
Uno solo di noi
si fermò a pugno chiuso,
vide il cielo vuoto,
chinò il capo e morì
sotto il muro, tacendo.
Ora ĆØ un cencio di sangue
il suo nome. Una donna
ci aspetta alle colline.
Anche la notte ti somiglia
Anche la notte ti somiglia,
la notte remota che piange
muta, dentro il cuore profondo,
e le stelle passano stanche.
Una guancia tocca una guancia ā
ĆØ un brivido freddo, qualcuno
si dibatte e tāimplora, solo,
sperduto in te, nella tua febbre.
La notte soffre e anela lāalba,
povero cuore che sussulti.
O viso chiuso, buia angoscia,
febbre che rattristi le stelle,
cāĆØ chi come te attende lāalba
scrutando il tuo viso in silenzio.
Sei distesa sotto la notte
come un chiuso orizzonte morto.
Povero cuore che sussulti,
un giorno lontano eri lāalba.
Donne appassionate
Le ragazze al crepuscolo scendono in acqua,
quando il mare svanisce, disteso. Nel bosco
ogni foglia trasale, mentre emergono caute
sulla sabbia e si siedono a riva. La schiuma
fa i suoi giochi inquieti, lungo lāacqua remota.
Le ragazze han paura delle alghe sepolte
sotto le onde, che afferrano le gambe e le spalle:
quantāĆØ nudo, del corpo. Rimontano rapide a riva
e si chiamano a nome, guardandosi intorno.
Anche le ombre sul fondo del mare, nel buio,
sono enormi e si vedono muovere incerte,
come attratte dai copi che passano. Il bosco
ĆØ un rifugio tranquillo, nel sole calante,
più che i greto, ma piace alle scure ragazze
star sedute allāaperto, nel lenzuolo raccolto.
Stanno tutte accosciate, serrando il lenzuolo
alle gambe, e contemplano il mare disteso
come un prato al crepuscolo. Oserebbe qualcuna
ora stendersi nuda in un prato? Dal mare
balzerebbero le alghe, che sfiorano i piedi,
a ghermire e ravvolgere il corpo tremante.
Cl son occhi nel mare, che traspaiono a volte.
Quellāignota straniera, che nuotava di notte
sola e nuda, nel buio quando muta la luna,
è scomparsa una notte e non torna mai più.
Era grande e doveva esser bianca abbagliante
perchƩ gli occhi, dal fondo del mare, giungessero a lei.
Mania di solitudine
Mangio un poco di cena seduto alla chiara finestra.
Nella stanza ĆØ giĆ buio e si vede nel cielo.
A uscir fuori, le vie tranquille conducono
dopo un poco, in aperta campagna.
Mangio e guardo nel cielo ā chi sa quante donne
stan mangiando a questāora ā il mio corpo ĆØ tranquillo;
il lavoro stordisce il mio corpo e ogni donna.
Fuori, dopo la cena, verranno le stelle a toccare
sulla larga pianura la terra. Le stelle son vive,
ma non valgono queste ciliege, che mangio da solo.
Vedo il cielo, ma so che fra i tetti di ruggine
qualche lume giĆ brilla e che, sotto, si fanno rumori.
Un gran sorso e il mio corpo assapora la vita
delle piante e dei fiumi e si sente staccato da tutto.
Basta un poā di silenzio e ogni cosa si ferma
nel suo luogo reale, cosƬ comāĆØ fermo il mio corpo.
Ogni cosa ĆØ isolata davanti ai miei sensi,
che lāaccettano senza scomporsi: un brusĆo di silenzio.
Ogni cosa, nel buio, la posso sapere
come so che il mio sangue trascorre le vene.
La pianura ĆØ un gran scorrere dāacque tra lāerbe,
una cena di tutte le cose. Ogni pianta e ogni sasso
vive immobile. Ascolto i miei cibi nutrirmi le vene
di ogni cosa che vive su questa pianura.
Non importa la notte. Il quadrato di cielo
mi susurra di tutti i fragori, e una stella minuta
si dibatte nel vuoto, lontano dai cibi,
dalle case, diversa. Non basta a se stessa,
e ha bisogno di troppe compagne. Qui al buio, da solo,
il mio corpo ĆØ tranquillo e si sente padrone.
Lo steddazzu
L’uomo solo si leva che il mare ĆØ ancor buio
e le stelle vacillano. Un tepore di fiato
sale su dalla riva, dov’ĆØ il letto del mare,
e addolcisce il respiro. Quest’ĆØ l’ora in cui nulla
può accadere. Perfino la pipa tra i denti
pende spenta. Notturno ĆØ il sommesso sciacquĆo.
L’uomo solo ha giĆ acceso un gran fuoco di rami
e lo guarda arrossare il terreno. Anche il mare
tra non molto sarĆ come il fuoco, avvampante.Non c’ĆØ cosa piĆŗ amara che l’alba di un giorno
in cui nulla accadrĆ . Non c’ĆØ cosa piĆŗ amara
che l’inutilitĆ . Pende stanca nel cielo
una stella verdognola, sorpresa dall’alba.
Vede il mare ancor buio e la macchia di fuoco
a cui l’uomo, per fare qualcosa, si scalda;
vede, e cade dal sonno tra le fosche montagne
dov’ĆØ un letto di neve. La lentezza dell’ora
ĆØ spietata, per chi non aspetta piĆŗ nulla.Val la pena che il sole si levi dal mare
e la lunga giornata cominci? Domani
tornerĆ alba tiepida con la diafana luce
e sarĆ come ieri e mai nulla accadrĆ .
L’uomo solo vorrebbe soltanto dormire.
Quando l’ultima stella si spegne nel cielo,
l’uomo adagio prepara la pipa e l’accende.
VerrĆ la morte e avrĆ i tuoi occhi
VerrĆ la morte e avrĆ i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
CosƬ li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
VerrĆ la morte e avrĆ i tuoi occhi.
SarĆ come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
PaternitĆ
Fantasia della donna che balla, e del vecchio
che ĆØ suo padre e una volta lāaveva nel sangue
e lāha fatta una notte, godendo in un letto, bel nudo.
Lei sāaffretta per giungere in tempo a svestirsi,
e ci sono altri vecchi che attendono. Tutti
le divorano, quando lei salta a ballare, la forza
delle gambe con gli occhi, ma i vecchi ci tremano.
Quasi nuda ĆØ la giovane. E i giovani guardano
con sorrisi, e qualcuno vorrebbe esser nudo.
Sembran tutti suo padre i vecchiotti entusiasti
e son tutti, malfermi, un avanzo di corpo
che ha goduto altri corpi. Anche i giovani un giorno
saran padri, e la donna ĆØ per tutti una sola.
Ć accaduto in silenzio. Una gioia profonda
prende il buio davanti alla giovane viva.
Tutti i corpi non sono che un corpo, uno solo
che si muove inchiodando gli sguardi di tutti.
Questo sangue, che scorre le membra diritte
della giovane, ĆØ il sangue che gela nei vecchi;
e suo padre che fuma in silenzio, a scaldarsi,
lui non salta, ma ha fatto la figlia che balla.
CāĆØ un sentore e uno scatto nel corpo di lei
che ĆØ lo stesso nel vecchio, e nei vecchi. In silenzio
fuma il padre e lāattende che ritorni, vestita.
Tutti attendono, giovani e vecchi, e la fissano;
e ciascuno, bevendo da solo, ripenserĆ a lei.
Mito
VerrĆ il giorno che il giovane dio sarĆ un uomo,
senza pena, col morto sorriso dell’uomo
che ha compreso. Anche il sole trascorre remoto
arrossando le spiagge. VerrĆ il giorno che il dio
non saprĆ più dov’erano le spiagge d’un tempo.
Ci si sveglia un mattino che ĆØ morta l’estate,
e negli occhi tumultuano ancora splendori
come ieri, e all’orecchio i fragori del sole
fatto sangue. Ć mutato il colore del mondo.
La montagna non tocca piĆŗ il cielo; le nubi
non s’ammassano piĆŗ come frutti; nell’acqua
non traspare più un ciottolo. Il corpo di un uomo
pensieroso si piega, dove un dio respirava.
Il gran sole ĆØ finito, e l’odore di terra,
e la libera strada, colorata di gente
che ignorava la morte. Non si muore d’estate.
Se qualcuno spariva, c’era il giovane dio
che viveva per tutti e ignorava la morte.
Su di lui la tristezza era un’ombra di nube.
Il suo passo stupiva la terra.
Ora pesa
la stanchezza su tutte le membra dell’uomo,
senza pena, la calma stanchezza dell’alba
che apre un giorno di pioggia. Le spiagge oscurate
non conoscono il giovane, che un tempo bastava
le guardasse. NĆ© il mare dell’aria rivive
al respiro. Si piegano le labbra dell’uomo
rassegnate, a sorridere davanti alla terra.
Tu sei per me una creatura triste
Tu sei per me una creatura triste,
un fiore labile di poesia,
che, nellāistante stesso che lo godo
e tento inebriarmene,
sento fuggire lontano
tanto lontano,
per la miseria dellāanima mia,
la mia miseria triste.
Quando ti stringo pazzamente al cuore
e ti suggo la bocca,
a lungo, senza posa,
sono triste, bambina,
perchƩ sento il mio cuore tanto stanco
di amarti cosĆ male.
Tu mi dĆ i la tua bocca
e insieme ci sforziamo di godere
il nostro amore che sarĆ mai lieto
perchĆ© lāanima in noi ĆØ troppo stanca
dei sogni giĆ sognati.
Ma sono io sono io il vile,
e tu sei tanto in alto
che, quando penso a te,
non mi resta che struggermi dāamore
per quel poco di gioia che mi dĆ i,
non so se per capriccio o per pietĆ .
La tua bellezza ĆØ una bellezza triste
quale avrei mai osato di sognare,
ma, come tu mi hai detto, ĆØ solo un sogno.
Quando ti parlo le cose piĆŗ dolci
e ti stringo al mio cuore
e tu non pensi a me,
hai ragione, bambina:
io sono triste triste e tanto vile.
Ecco, tu sei per me
nullāaltro che una fragile illusione
dai grandi occhi di sogno,
che per unāora mi si stringe al cuore
e mi ricolma tutto
di cose dolci, piene di rimpianto.
CosĆ mi accade quando stancamente
mi struggo a infondere nei versi lievi
un mio spasimo triste.
Un fiore labile di poesia,
nulla di piĆŗ, mio amore.
Ma tu non sai, bambina,
e mai saprai ciò che mi fa soffrire.
Continuerò, piccolo fiore biondo,
che hai giĆ tanto sofferto nella vita,
a contemplarti il viso che ti piange
anche quando sorride
ā oh la dolcezza triste del tuo viso!
non saprai mai, bambina ā
continuerò a adorare accanto a te
le tue piccole membra melodiose
che han la dolcezza della primavera
e son tanto struggenti e profumate
che io quasi impazzisco
al pensiero che un altro le amerĆ
stringendole al suo corpo.
Continuerò a adorarti,
e a baciarti e a soffrire,
finchƩ tu un giorno mi dirai che tutto
dovrĆ essere finito.
E allora tu non sarai piĆŗ lontana
e non mi sentirò piú stanco il cuore,
ma urlerò dal dolore
e ribacerò in sogno
e mi stringerò al petto
lāillusione svanita.
E scriverò per te,
per il tuo ricordo straziante
pochi versi dolenti
che tu non leggerai piĆŗ.
Ma a me staranno atroci
inchiodati nel cuore
per sempre.
L’istinto
L’uomo vecchio, deluso di tutte le cose,
dalla soglia di casa nel tiepido sole
guarda il cane e la cagna sfogarel’istinto.
Sulla bocca sdentata si rincorrono mosche.
La sua donna gli ĆØ morta da tempo. Anche lei
come tutte le cagne non voleva saperne,
ma ci aveva l’istinto. L’uomo vecchio annusava
&endash; non ancora sdentato &endash;, la notte veniva,
si mettevano a letto. Era bello l’istinto.
Quel che gli piace nel cane ĆØ la gran libertĆ .
Dal mattino alla sera gironzola in strada;
e un po’ mangia, un po’ dorme, un po’ monta le cagne:
non aspetta nemmeno la notte. Ragiona,
come fiuta, e gli odori che sente son suoi.
L’uomo vecchio ricorda una volta di giorno
che l’ha fatta da cane in un campo di grano.
Non sa più con che cagna, ma ricorda il gran sole
e il sudore e la voglia di non smettere mai.
Era come in un letto. Se tornassero gli anni,
lo vorrebbe far sempre in un campo di grano.Scende in strada una donna e si ferma a guardare;
passa il prete e si volta. Sulla pubblica piazza
si può fare di tutto. Persino la donna,
che ha ritegno a voltarsi per l’uomo, si ferma.
Solamente un ragazzo non tollera il gioco
e fa piover sassi. L’uomo vecchio si sdegna.
SemplicitĆ
Lāuomo solo ā che ĆØ stato in prigione ā ritorna in prigione.
ogni volta che morde in un pezzo di pane.
In prigione sognava le lepri che fuggono
sul terriccio invernale. Nella nebbia dāinverno
lāuomo vive tra muri di strade, bevendo
acqua fredda e morendo in un pezzo di pane.
Uno crede che dopo rinasca la vita,
che il respiro si calmi, che ritorni lāinverno
con lāodore del vino nella calda osteria,
e il buon fuoco, la stalla, e le cene. Uno crede,
fin che ĆØ dentro uno crede. Si esce fuori una sera,
e le lepri le han prese e le mangiano al caldo
gli altri, allegri. Bisogna guardarli dai vetri.
Lāuomo solo osa entrare per bere un bicchiere
quando proprio si gela, e contempla il suo vino:
il colore fumoso, il sapore pesante.
Morde il pezzo di pane, che sapeva di lepre
in prigione, ma adesso non sa più di pane
nƩ di nulla. E anche il vino non sa che di nebbia.
Lāuomo solo ripensa a quei campi, contento
di saperli giĆ arati. Nella sala deserta
sottovoce, si prova a cantare. Rivede
lungo lāargine il ciuffo di rovi spogliati
che in agosto fu verde. DĆ un fischio alla cagna.
E compare la lepre e non hanno più freddo.
I gatti lo sapranno
Ancora cadrĆ la pioggia
sui tuoi dolci selciati,
una pioggia leggera
come un alito o un passo.
Ancora la brezza e lāalba
fioriranno leggere
come sotto il tuo passo,
quando tu rientrerai.
Tra fiori e davanzali
i gatti lo sapranno.
Ci saranno altri giorni,
ci saranno altre voci.
Sorriderai da sola.
I gatti lo sapranno.
Udrai parole antiche,
parole stanche e vane
come i costumi smessi
delle feste di ieri.
Farai gesti anche tu.
Risponderai parole ā
viso di primavera,
farai gesti anche tu.
I gatti lo sapranno,
viso di primavera;
e la pioggia leggera,
lāalba color giacinto,
che dilaniano il cuore
di chi piĆŗ non ti spera,
sono il triste sorriso
che sorridi da sola.
Ci saranno altri giorni,
altre voci e risvegli.
Soffriremo nellāalba,
viso di primavera.
Estate
Ć riapparsa la donna dagli occhi socchiusi
e dal corpo raccolto, camminando per strada.
Ha guardato diritto tendendo la mano,
nellāimmobile strada. Ogni cosa ĆØ riemersa.
NellāĆmmobile luce dei giorno lontano
sāĆØ spezzato il ricordo. La donna ha rialzato
la sua semplice fronte, e lo sguardo dāallora
ĆØ riapparso. La mano si ĆØ tesa alla mano
e la stretta angosciosa era quella dāallora.
Ogni cosa ha ripreso i colori e la vita
allo sguardo raccolto, alla bocca socchiusa.
Ć tornata lāangoscia dei giorni lontani
quando tutta unāimmobile estate improvvisa
di colori e tepori emergeva, agli sguardi
di quegli occhi sommessi. Ć tornata lāangoscia
che nessuna dolcezza di labbra dischiuse
può lenire. Un immobile cielo sāaccoglie
freddamente, in quegli occhi.
Fra calmo il ricordo
alla luce sommessa dei tempo, era un docile
moribondo cui giĆ la finestra sāannebbia e scompare.
Si ĆØ spezzato il ricordo. La stretta angosciosa
della mano leggera ha riacceso i colori
e lāestate e i tepori sotto il viviclo cielo.
Ma la bocca socchiusa e gli sguardi sommessi
non dan vita che a un duro inumano silenzio.
Lāamico che dorme
Che diremo stanotte allāamico che dorme?
La parola più tenue ci sale alle labbra
dalla pena più atroce. Guarderemo lāamico,
le sue inutili labbra che non dicono nulla,
parleremo sommesso.
La notte avrĆ il volto
dellāantico dolore che riemerge ogni sera
impassibile e vivo. Il remoto silenzio
soffrirĆ come unāanima, muto, nel buio.
Parleremo alla notte che fiata sommessa.
Udiremo gli istanti stillare nel buio
al di lĆ delle cose, nellāansia dellāalba,
che verrĆ dāimprovviso incidendo le cose
contro il morto silenzio. Lāinutile luce
svelerĆ il volto assorto del giorno. Gli istanti
taceranno. E le cose parleranno sommesso.
Marzo
Io sono Marzo che vengo col vento
col sole e lāacqua e nessuno contento;
voā pellegrino in digiuno e preghiera
cercando invano la Primavera.
Di grandi Santi māadorno e mi glorio:
Tommaso il sette e poi il grande Gregorio;
con Benedetto la rondin tornata
saluta e canta la Santa Annunziata.
Primavera
SarĆ un volto chiaro.
Sāapriranno le strade
sui colli di pini
e di pietraā¦
I fiori spruzzati
di colore alle fontane
occhieggeranno come
donne divertite: Le scale
le terrazze le rondini
canteranno nel sole.
MaternitĆ
Questo ĆØ un uomo che ha fatto tre figli: un gran corpo
poderoso, che basta a se stesso; a vederlo passare
uno pensa che i figli han la stessa statura.
Dalle membra del padre (la donna non conta)
debbon esser usciti, giĆ fatti, tre giovani
come lui. Ma comunque sia il corpo dei tre,
alle membra del padre non manca una briciola
nƩ uno scatto: si sono staccati da lui
camminandogli accanto.
La donna c’ĆØ stata,
una donna di solido corpo, che ha sparso
su ogni figlio del sangue e sul terzo c’ĆØ morta.
Pare strano ai tre giovani vivere senza la donna
che nessuno conosce e li ha fatti, ciascuno, a fatica
annientandosi in loro. La donna era giovane
e rideva e parlava, ma ĆØ un gioco rischioso
prender parte alla vita. à così che la donna
c’ĆØ restata in silenzio, fissando stravolta il suo uomo.
I tre figli hanno un modo di alzare le spalle
che quell’uomo conosce. Nessuno di loro
sa di avere negli occhi e nel corpo una vita
che a suo tempo era piena e saziava quell’uomo.
Ma, a vedere piegarsi un suo giovane all’orlo del fiume
e tuffarsi, quell’uomo non ritrova piĆŗ il guizzo
delle membra di lei dentro l’acqua, e la gioia
dei due corpi sommersi. Non ritrova piĆŗ i figli
se li guarda per strada e confronta con sƩ.
Quanto tempo ĆØ che ha fatto dei figli? I tre giovani
vanno invece spavaldi e qualcuno per sbaglio
s’ĆØ giĆ fatto un figliolo, senza farsi la donna.
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