Poesie sulla Solitudine: le 25 d’autore più belle e famose

poesie sulla solitudine

Con questa raccolta scopriamo insieme tantissime poesie intense, raffinate, profonde e sagge sulla vita e l’importanza di amare sempre e comunque se stessi, indipendentemente da chi ci circonda. Poesie che esplorano il concetto di solitudine, mirando direttamente alla nostra emotivitĆ .

La solitudine può essere una scelta, oppure una conseguenza sgradita. L’importante ĆØ trovare i suoi aspetti positivi. Stare da soli ci dĆ  la possibilitĆ  di lavorare su noi stessi, di conoscerci a fondo, di evidenziare difetti e possibilitĆ  nascoste del nostro carattere. La solitudine può aiutarci a crescere e a maturare, e ci insegna soprattutto ad amarci. Ecco 25 poesie sulla solitudine:

Poesie sulla Solitudine

La nera solitudine
(Giovanni Camerana)

La nera solitudine alla nera
solitudine;- il sogno alto al profondo
pensier;- la sera che ĆØ triste, alla sera
che piange; – al mondo infranto, il bieco mondo.

La solitudine
(Trilussa)

Quand’ero ragazzino, mamma mia
me diceva: ā€œRicordati fijolo,
quando te senti veramente solo
tu prova a recitĆ  ā€˜n’ Ave Maria
l’anima tua da sola spicca er volo
e se solleva, come pe’ maggiaā€.
Ormai so’ vecchio, er tempo m’è volato;
da un pezzo s’è ad dormita la vecchietta,
ma quer consijo nun l’ho mai scordato.
Come me sento veramente solo
io prego la Madonna benedetta
e l’anima da sola pija er volo!

Sola non posso essere
(Emily Dickinson)

Sola non posso essere
poichƩ schiere mi visitano
compagnia senza traccia
che elude chiavi
Non hanno vesti, nĆØ nomi
non almanacchi, nĆØ armi
ma case diffuse come gnomi
Il loro venire ĆØ annunciato
da messaggeri interiori
Il loro andare non lo ĆØ
poichƩ non vanno mai.

Isolamento
(Giovanni Prati)

Amo il fiore se, germina soletto,
Più che se adorna di mill’altri il suolo;
Amo il ruscello, che per picciol letto
Passa ne’campi, e l’uccellin che il volo
Muta per poche fronde, e fuor del petto,
Versa cantando qualche antico duolo;
Ed amo l’astro che nell’aer schietto
Senz’altra compagnia brilla nel polo.
Amo la nuvoletta, che si tinge
d’una languida porpora, e non posa
Per l’ignoto desio che la sospinge;
Mi prende amor d’ogni isolata cosa,
PerchĆ© l’anima mia vi si dipinge
Isolata in eterno e dolorosa.

Il treno ha fischiato
(Giacinto Ricci Signorini)

Il treno ha fischiato: fremendo
Sotto l’ampia sonora tettoia
S’arresta; di un balzo discendo,
E mi canta nel cuore la gioia.
Veloce mi volgo all’uscita,
Guardo: dietro i cancelli lucenti
Mi aspetti con ansia infinita,
E mi accenni dagli occhi ridenti.
CosƬ m’era dolce l’arrivo
Nel passato: nessuno ora viene
Che mi attenda all’uscita giulivo,
Che mi baci e mi dica: Stai bene?
Cammino tra il chiasso a rilento,
Ma non odo il tuo riso giocondo:
Ho voglia di pianger: mi sento
Tanto solo e perduto nel mondo.

Alla luna
(Vivian Lamarque)

Disabitata la luna?
Ma ĆØ lei il suo bianco abitante.
Condomina e casa
abitante e abitata
inquilina pallida
finestrella e affacciata.

Il passero solitario
(Giacomo Leopardi)

D’in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finchƩ non more il giorno;
Ed erra l’armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell’aria, e per li campi esulta,
SƬ ch’a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,
Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;
Canti, e cosƬ trapassi
Dell’anno e di tua vita il più bel fiore.
OimĆØ, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella etĆ  dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de’ provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch’omai cede la sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed ĆØ mirata, e in cor s’allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell’aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.
Tu solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura ĆØ frutto
Ogni nostra vaghezza
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all’altrui core,
E lor fia voto il mondo, e il dƬ futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrĆ  di tal voglia?
Che di quest’anni miei? Che di me stesso?
Ahi pentiromi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.

Che cos’è la nostra vita?
(Walter Raleigh)

Che cos’è la nostra vita? Un gioco di passioni. La nostra gioia ĆØ la musica della divisione. Il grembo materno sono le nostre noiose case dove ci vestiamo per questa breve commedia. Il cielo ci ĆØ giudice spietato e spettatore, che siede e giudica chi sbaglia. Le nostre tombe che ci nascondono al sole che tramonta sono come un sipario tirato quando lo spettacolo ĆØ finito. CosƬ procediamo, giocando, fino all’ultimo riposo, solo che moriamo davvero, e questo non ĆØ un gioco.

Mania di solitudine
(Cesare Pavese)

Mangio un poco di cena seduto alla chiara finestra.
Nella stanza ĆØ giĆ  buio e si vede nel cielo.
A uscir fuori, le vie tranquille conducono
dopo un poco, in aperta campagna.
Mangio e guardo nel cielo – chi sa quante donne
stan mangiando a quest’ora – il mio corpo ĆØ tranquillo;
il lavoro stordisce il mio corpo e ogni donna.
Fuori, dopo la cena, verranno le stelle a toccare
sulla larga pianura la terra. Le stelle son vive,
ma non valgono queste ciliege, che mangio da solo.
Vedo il cielo, ma so che fra i tetti di ruggine
qualche lume giĆ  brilla e che, sotto, si fanno rumori.
Un gran sorso e il mio corpo assapora la vita
delle piante e dei fiumi e si sente staccato da tutto.
Basta un po’ di silenzio e ogni cosa si ferma
nel suo luogo reale, cosƬ com’è fermo il mio corpo.
Ogni cosa ĆØ isolata davanti ai miei sensi,
che l’accettano senza scomporsi: un brusĆ­o di silenzio.
Ogni cosa, nel buio, la posso sapere
come so che il mio sangue trascorre le vene.
La pianura ĆØ un gran scorrere d’acque tra l’erbe,
una cena di tutte le cose. Ogni pianta e ogni sasso
vive immobile. Ascolto i miei cibi nutrirmi le vene
di ogni cosa che vive su questa pianura.
Non importa la notte. Il quadrato di cielo
mi susurra di tutti i fragori, e una stella minuta
si dibatte nel vuoto, lontano dai cibi,
dalle case, diversa. Non basta a se stessa,
e ha bisogno di troppe compagne. Qui al buio, da solo,
il mio corpo ĆØ tranquillo e si sente padrone.

La Solitudine
(Eugenio Montale)

Se mi allontano due giorni
i piccioni che beccano
sul davanzale
entrano in agitazione
secondo i loro obblighi corporativi.
Al mio ritorno l’ordine si rifĆ 
con supplemento di briciole
e disappunto del merlo che fa la spola
tra il venerato dirimpettaio e me.
A così poco è ridotta la mia famiglia.
E c’è chi ne ha una o due, che spreco, ahimĆØ!

Solitudine
(Giovanni Pascoli)

Da questo greppo solitario io miro
passare un nero stormo, un aureo sciame;
mentre sul capo al soffio di un sospiro
ronzano i fili tremuli di rame.
ƈ sul mio capo un’eco di pensiero
lunga, nƩ so se gioia o se martoro;
e passa l’ombra dello stormo nero,
e passa l’ombra dello sciame d’oro.
Sono cittĆ  che parlano tra loro,
cittĆ  nell’aria cerula lontane;
tumultuanti d’un vocƬo sonoro,
di rote ferree e querule campane.
LĆ , genti vanno irrequĆÆete e stanche,
cui falla il tempo, cui l’amore avanza
per lungi, e l’odio. Qui, quell’eco ed anche
quel polverio di ditteri, che danza.
Parlano dall’azzurra lontananza
nei giorni afosi, nelle vitree sere;
e sono mute grida di speranza
e di dolore, e gemiti e preghiere…
Qui quel ronzƬo. Le cavallette sole
stridono in mezzo alla gramigna gialla;
i moscerini danzano nel sole;
trema uno stelo sotto una farfalla.

Solitudine
(Ella Wheeler Wilcox)

Ridi e il mondo riderĆ  con te.
Piangi, e piangerai da solo.
PoichƩ il vecchio mondo triste deve prendere
in prestito la sua allegria,
ma ha giĆ  abbastanza guai per conto suo.
Canta, e le colline ti risponderanno.
Singhiozza, e il tuo singhiozzo si perderĆ  nell’aria.
L’eco ĆØ destinata a un suono gioioso,
ma si rifiuta di dare ascolto ai lamenti.
Rallegrati e gli uomini ti cercheranno.
Rattristati, ed essi ti lasceranno solo.
Vogliono la misura piena di tutto il tuo piacere,
ma non hanno bisogno del tuo dolore.
Sii felice, e avrai molti amici.
SiƬ triste, e li perderai tutti.
Non c’è nessuno che rifiuti il tuo vino di nettare,
ma dovrai bere da solo il fiele della vita.
Fa festa, e i tuoi saloni si riempiranno.
Digiuna, e il mondo ti passerĆ  acanto senza sfiorarti.
Se avrai successo e sarai generoso, ciò ti aiuterà
a vivere.
ma nessuno potrĆ  aiutarti a morire.
C’è spazio nelle sale del piacere
per un lungo treno di signori.
Ma a uno a uno dobbiamo metterci in fila
per passare gli stretti varchi del dolore.

Gli auguri dell’innocenza
(William Blake)

Vedere un mondo in un grano di sabbia
e un universo in un fiore di campo,
possedere l’infinito sul palmo della mano
e l’eternitĆ  in un’ora.

La buona voce
(Gabriele D’Annunzio)

Sei solo. D’altro più non ti sovviene.
E d’altro più non ti sovvenga mai!
Sul tuo cuore fluisca l’oblƬo lene.
Ti sien dolci questi umili sentieri.
Ancóra qualche rosa ĆØ ne’ rosai.
SarĆ  domani quel che non fu ieri.
Domani prenderĆ  novo coraggio
e nova forza l’anima che teme.
A la prima rugiada, al primo raggio
non s’alza l’erba che il tuo piede preme?

Solitudine
(Alfred de Musset)

Il cielo mi ha affidato il tuo cuore…
quando sarai dolente vieni da me
senza inquietudine,
ti seguirò nel tuo cammino.
Ma non posso toccare la tua mano,
amico, sono la solitudine.

Tramontata ĆØ la luna
(Saffo)

Tramontata ĆØ la luna
e le Pleiadi a mezzo della notte
anche giovinezza giĆ  dilegua,
e ora nel mio letto resto sola.
Scuote l’anima mia Eros,
come vento sul monte
che irrompe entro le querce;
e scioglie le membra e le agita,
dolce amara indomabile belva.
Ma a me non ape, non miele;
e soffro e desidero.

Presi un sorso di vita
(Emily Dickinson)

Presi un sorso di vita, vi dirò quanto l’ho pagato, esattamente un’esistenza, il prezzo di mercato, dicevano. Mi pesarono, granello per granello, bilanciarono fibra con fibra, poi mi porsero il valore del mio essere, un singolo grammo di cielo!

Al fuoco
(Giovanni Pascoli)

Dorme il vecchio avanti i ciocchi.
Sogna un nuvolo di bimbi,
che cinguetta. Il ceppo al foco
russa roco.
Dorme anch’esso. A tutti i nocchi
sogna grappoli e corimbi.
Rosei pendono nell’aria
solitaria.
Bianchi i bimbi tra il fogliame,
su su, a quel roseo sorriso
vanno. Il ceppo occhi di brace
apre, e tace.
Ecco pendulo lo sciame
dal grande albero improvviso,
su su. Il vecchio nel cor teme,
guarda e geme.
Ogni bimbo al suo fiore alza
la mano e… scivola e va.
Sbarra il ceppo la pupilla:
crocchia e brilla.
E il vegliardo, al crocchiar, balza
nella rotta oscuritĆ .
Gira lento gli occhi. Solo!
solo! solo!

Luna calante
(Percy Bysshe Shelley)

E come una dama morente che pallida
e smunta ravvolta in un velo
diafano esce vacillando
dalla sua camera, ed ĆØ insensato
incerto vaneggiare della mente
smarrita che la guida, la luna
sorse nel tenebroso oriente, una massa
deforme che sbiancheggia.

Trainor il Farmacista
(Edgar Lee Masters)

Solo il chimico può dire, e non sempre,
cosa verrĆ  fuori dall’unione
di fluidi o solidi.
E chi può dire
come uomini e donne reagiranno
fra loro, o quali figli ne risulteranno?
C’erano Benjamin Pantier e sua moglie,
buoni in sĆ© stessi, ma cattivi l’uno con l’altro:
lui ossigeno, lei idrogeno,
loro figlio, un fuoco devastatore.
Io, Trainor, il farmacista, un mescolatore di sostanze chimiche,
morto mentre facevo un esperimento,
vissi senza sposarmi.

La mia vita non ĆØ quest’ora ripida
(Rainer Maria Rilke)

La mia vita non ĆØ quest’ora ripida che mi vedi scalare in fretta. Sono un albero innanzi all’orizzonte, una delle mie molte bocche, e la prima a chiudersi. Sono l’attimo tra due suoni che male s’accordano perchĆ© il suono morte vuole emergere, ma nella pausa buia si riconciliano entrambi tremando. E bello resta il canto.

Ed ĆØ subito sera
(Salvatore Quasimodo)

Ognuno sta solo
sul cuore della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed ĆØ subito sera.

Solo
(Edgar Allan Poe)

Da bambino non ero come gli altri,
non vedevo come gli altri vedevano,
nƩ le mie passioni scaturivano
da una fonte comune, e le mie pene
non avevano la stessa sorgente.
Il mio cuore, poi, non si destava
alla gioia in armonia con gli altri.
Io, tutto ciò che amai, l’amai da solo.
Allora, nell’infanzia, nell’aurora
d’una vita tempestosa, trassi
il mistero che ancora m’imprigiona
da ogni abisso del bene e del male,
e dal torrente o dalla sorgente,
dalla roccia rossa della montagna,
dal sole che tutto m’avvolgeva
nel suo autunno colorato d’oro,
dal fulmine del cielo che improvviso
mi sfiorava, scoppiava accanto a me,
dal tuono, dalla furia della pioggia,
e dalla nube che prendeva forma
di un dĆØmone ai miei occhi,
mentre il resto del cielo era sereno.

Di tutto restano tre cose
(Fernando Pessoa)

Di tutto restano tre cose: la certezza che stiamo sempre iniziando, la certezza che abbiamo bisogno di continuare, la certezza che saremo interrotti prima di finire. Pertanto, dobbiamo fare: dell’interruzione, un nuovo cammino, della caduta, un passo di danza, della paura,una scala, del sogno, un ponte, del bisogno, un incontro.

Il passero solitario
(Giovanni Pascoli)

Tu nella torre avita,
passero solitario,
tenti la tua tastiera,
come nel santuario
monaca prigioniera,
l’organo, a fior di dita;
che pallida, fugace,
stupƬ tre note, chiuse
nell’organo, tre sole,
in un istante effuse,
tre come tre parole
ch’ella ha sepolte, in pace.
Da un ermo santuario
che sa di morto incenso
nelle grandi arche vuote,
di tra un silenzio immenso
mandi le tue tre note,
spirito solitario.